L’assassinio di Giulio Cesare – evento cardinale nella storia della repubblica romana – è stato studiato e analizzato per secoli: la storiografia moderna sembra concordare sul fatto che i tre cesaricidi abbiano agito per impedire il disegno del generale di instaurare la monarchia a Roma attraverso la dittatura a vita, uno strumento assolutamente inedito e che minacciava di sconvolgere l’ordine istituzionale e sociale costituito.
Tuttavia, il recente ritrovamento di una tavola su cui è inciso l’elenco delle liste magistratuali del 45-44 a.C., gli anni in cui maturò e si realizzò la congiura, riapre la discussione: Cesare era infatti stato già nominato dictator perpetuus; ma l’aggettivo perpetuus non significava “a vita”. Se Cesare non voleva farsi re, allora cosa cercavano di impedire Gaio Cassio, Marco e Decimo Bruto? E quale fu il vero ruolo di Antonio?
Attraverso un’analisi attenta e dettagliata delle fonti antiche e della storiografia moderna, Orazio Licandro rilegge l’intera vicenda e, scandagliando i fondali oscuri della lotta politica, presta ascolto a un altro grande condottiero, sorta di alter ego di Cesare, ovvero Napoleone: anche lui, infatti, sospettava che ci fosse un’altra ragione dietro l’omicidio di un uomo che, col suo potere e la sua geniale irruenza, avrebbe potuto cambiare il corso della Storia. La sua azione militare, del resto, dopo la conquista esemplare della Gallia, era orientata verso Oriente come a voler ripercorrere le orme di un idolo del passato: Alessandro Magno; come lui, anche Cesare mirava forse a conquistare un vasto impero? Temevano i cesaricidi che tornasse in patria in trionfo, accolto dalla folla come un nuovo sovrano di stampo ellenistico?
Partendo da queste domande, e alla luce dei nuovi ritrovamenti e delle nuove scoperte in campo epigrafico, questo saggio ci offre una rilettura approfondita e innovativa di uno dei più interessanti enigmi dell’antichità, una di quelle vicende sulle quali la Storia e la storiografia non smettono mai di interrogarsi.