Abbiamo spettacolarizzato il gioco più bello del mondo. Lo abbiamo finanziarizzato. Lo abbiamo corrotto.
E adesso è il tempo di riflettere sull’eredità che lasceremo.
Giocare coincide, nella crescita di un uomo, con l’affinamento delle abilità, della sensibilità, delle emozioni. È insomma rapporto. Come quello che si stabilisce tra padre e figlio. Il calcio diventa allora uno strumento educativo, che trasporta valori da una generazione all’altra, che dà vigore all’efficacia delle regole condivise e alla magia del gioco di squadra, al tifo. È una questione quasi genetica, in fondo: è di padrein figlio che si trasmette la squadra del cuore. È di padre in figlio che si trasmette la passione.
Fulvio Paglialunga racconta le storie dei più famosi genitori che hanno lasciato il gioco in eredità ai fi gli – da Cesare e Paolo Maldini a Bruno e Daniele Conti, da Jacky e Stuart Fatton a Valentino e Sandro Mazzola, da Peter e Kasper Schmeichel a Mazinho e Thiago Alcántara – fi no a raccontare cosa sia oggi il pallone in Italia. Perché altre nazioni hanno saputo creare intere comunità intorno al calcio, anche attraverso lo ius soli, mentre l’Italia continua a mettere ostacoli al tesseramento. Perché le Tv possono aiutare e non solo distruggere lo spettacolo. Perché il calcio italiano può risalire solo se torna a essere una cosa di famiglia, un valore.
«Mi fermo sempre quando vedo dei bambini giocare a calcio. È un’attrazione irresistibile, per me. Mi torna in mente una frase di Jorge Luis Borges: “Ogni volta che un bambino prende a calci qualcosa per strada, lì ricomincia la storia del calcio”.»