Prefazione di Mario Avagliano
Durante il Ventennio gli italiani scrissero al duce milioni fra lettere, telegrammi e cartoline. Tutte confluivano nella Segreteria Particolare del Duce, in una serie di fascicoli che lo stesso Mussolini denominò «Sentimenti per il duce». Qui, zelanti funzionari le smistavano e fornivano benevole risposte. Oggi, migliaia di tali missive sono custodite presso l’Archivio Centrale dello Stato, in un fondo che stranamente è stato poco o per nulla esplorato dagli storici. Eppure, considerando il loro carattere disinteressato e la loro spontaneità, quelle lettere sono lo specchio più fedele di quanto sia stato pervasivo il mito e il culto del duce in una parte del popolo italiano e come sia stato da essa vissuto nel periodo 1930-1943.
Vacca individua tre categorie principali in questa «antologia dei sentimenti» degli italiani verso il loro duce: il «Salvatore d’Italia», al quale affidare ciecamente le chiavi del destino della Patria e sul cui altare sacrificare anche la vita dei propri cari (compresi i figli); il «Difensore della civiltà romana e cristiana» e, almeno fino al 1939-1940, l’«Angelo della pace», «Arbitro e Mediatore» tra le Nazioni e «stabilizzatore di una pace e di un benessere mondiale».
Nella grande massa di scriventi troviamo di tutto: l’ammiratore che mette a disposizione il suo naso qualora il Duce ne avesse avuto bisogno dopo un fallito attentato; i parroci che salutano in lui l’alfiere della guerra «contro i “senza Dio”» e gli consigliano di mettere la croce sulle armi come a suo tempo Costantino contro Massenzio; i piccoli balilla che lo ricordano nelle loro preghiere; e i genitori che offrono il loro figlio appena nato come futuro braccio al servizio dell’Impero fascista.
Questa ricerca inedita ci offre una preziosa testimonianza di come eravamo, apre uno squarcio immediato sull’ingenuità e il fanatismo degli italiani durante il Ventennio fascista, e ci fa toccare con mano perché abbia potuto attecchire così a fondo il suo falso mito.